PSY-FAQ

COS'E' LA PSICOTERAPIA COGNITIVA?

La psicoterapia cognitiva ad orientamento costruttivista considera l’uomo come un sistema conoscitivo, fatto di pensieri, emozioni, sensazioni, azioni.

 

La mente e il corpo, in questa prospettiva, sono inseparabili e dunque anche le emozioni e le sensazioni sono dei processi di conoscenza e di sviluppo, non delle reazioni negative che devono essere debellate.

Presupposto di questo approccio è che il senso di sé, della propria identità personale, ciò che sentiamo e pensiamo di essere, viene continuamente costruito e ricostruito attraverso le varie esperienze e le varie relazioni che affrontiamo, garantendo comunque all’individuo un senso di sé il più possibile stabile, unico e coerente.

Un processo di crisi o di scompenso, che motiva la richiesta di una psicoterapia individuale, può verificarsi quando, nel confronto con la realtà, alcune esperienze e credenze che ho di me stesso, intimamente connessi quindi con la mia identità personale, mettono in dubbio questo senso di sé che abbiamo costruito fin dall’infanzia.

Da qui nascono i sintomi, i “disturbi”, le sofferenze, i dubbi su chi siamo, cosa vogliamo, le incertezze sul senso della nostra esistenza, l’emersione di profonde paure e insicurezze.

 

Il più importante strumento di cambiamento è la relazione fra terapeuta e paziente, che renderà possibile l’esplorazione dei significati personali, delle esperienze emozionali e delle modalità di relazione della persona per dare un significato al problema vissuto dalla persona e re-integrarlo in un senso di sé più armonico e funzionale.

 

Il percorso terapeutico è quindi un processo di ricerca all’interno del quale paziente e terapeuta svolgono i ruoli distinti e complementari rispettivamente di ricercatore e di supervisore alla ricerca.

La metafora definisce le competenze specifiche di ciascuno dei due membri della relazione: il paziente è l’esperto rispetto all’oggetto della ricerca (il suo mondo, inteso come sistema di conoscenza, le sue sensazioni, i suoi pensieri, le sue emozioni) poiché è l’unico ad avere la possibilità di un contatto diretto con questo territorio; il terapeuta è l’esperto rispetto al metodo e il suo compito è quello di orientare, all’interno del territorio, apparentemente confuso e intricato, il percorso di ricerca, proponendo in modo collaborativo strumenti, procedure e tempi per sovraintendere il cammino.

LA PSICOTERAPIA FUNZIONA?

Le più recenti scoperte hanno permesso di stabilire con certezza che la psicoterapia agisce sul cervello, producendo un vero e proprio mutamento dei circuiti neuronali. Le tecniche di neuroimaging dimostrano che il lavoro psicoterapeutico produce le stesse modifiche chimiche che sono apportate dalla terapia psicofarmacologica, indebolendo la concezione dualistica che vede come nettamente separati la mente e il corpo (Gabbard G. O., 2000).

 

Quindi, questa “terapia della parola” non solo cambia il comportamento, ma è anche in grado di rinnovare i processi di pensiero e, dunque, di mutare i circuiti neurobiologici del cervello (Gabbard, G.O., 2000)

 

La psicoterapia promuove l’apprendimento di modi alternativi di pensare e comportarsi, ovvero altera la forza delle sinapsi tra i neuroni, portando, quindi, a dei veri e propri cambiamenti morfologici nei neuroni stessi.

QUANTO DURA LA PSICOTERAPIA?

Essendo ogni persona unica nelle sue peculiarità, ogni psicoterapia costituisce una storia a sé. Non esistono criteri standard per definire a priori un percorso, psicoterapeutico, ma è la raccolta iniziale dei dati che consente al terapeuta di delineare un percorso ideale, ipoteticamente funzionale a quello specifico paziente.



Trauma e cervello: i cambiamenti nel cervello traumatizzato.

Il nostro cervello è plastico e può subire cambiamenti.Anzitutto è importante comprendere che un cervello traumatizzato si comporta in modo differente proprio in quanto risultato di eventi traumatici.

Il trauma può alterare il funzionamento cerebrale in molti modi, ma tre dei cambiamenti più importanti nel cervello traumatizzato sembrano verificarsi nelle seguenti aree:

 

La corteccia prefrontale (PFC);

La corteccia cingolata anteriore (ACC)

L’amigdala

 

La PFC è la parte anteriore del lobo frontale del cervello. È implicata in diverse attività che includono il pensiero razionale, la risoluzione dei problemi, l’espressione dellapersonalità, la pianificazione, l’empatia e la moderazione della condotta sociale. Quando questa zona del cervello funziona in modo adeguato, siamo in grado di pensare chiaramente, di prendere buone decisioni e di avere una buona essere consapevolezza di noi stessi e degli altri.

 

L’ACC è la parte della corteccia cerebrale situata nella regione superiore della superficie mediale dei lobi frontali, sopra il corpo calloso. Questa zona è responsabile (in parte) della regolazione delle emozioni. Quando questa regione funziona in modo adeguato, siamo in grado di gestire i pensieri e le emozioni difficili senza esserne totalmente sopraffatti.

 

Infine, l’amigdala e’ una piccola struttura del cervello che fa parte del sistema limbico ed e’ coinvolta nella gestione delle emozioni, tra cui la paura. Questa zona subcorticale agisce al di fuori della consapevolezza o del controllo cosciente e il suo compito primario è quello di ricevere tutte le informazioni in entrata – tutto ciò che viene visto, sentito, toccato, gli odori e il gusto – e risponde a una domanda: “È una minaccia?” Se rileva la presenza di una minaccia, di un pericolo, attiva la sensazione di paura e ci rende vigili e reattivi.

Il cervello traumatizzato sembra diverso da quello non traumatizzato perché vi sarebbe da una parte scarsa attivazione della corteccia prefrontale e della corteccia cingolata anteriore, e dall’altra un’iperattivazione dell’amigdala.

In altre parole, se si subisce un trauma ed emergono sintomi del disturbo da stress post traumatico, si può verificare stress cronico, esagerate risposte di allarme, ipervigilanza, paura, irritabilità o scoppi di collera. Potrebbero emergere anche difficoltà nel mantenere la calma e difficoltà ad addormentarsi. Il soggetto non si sente al sicuro. Questi sintomi sono plausibilmente correlati a un’iperattivazione dell’amigdala. Allo stesso tempo, gli individui traumatizzati possono avere difficoltà di concentrazione e di attenzione prolungata e, spesso, riportano di non essere in grado di pensare in maniera lucida: sintomi plausibilmente correlati alla scarsa attivazione della corteccia prefrontale nel cervello traumatizzato.

Infine, chi sperimenta i sintomi del disturbo da stress post traumatico a volte lamenta di sentirsi incapace di gestire le proprie emozioni. Questo aspetto rimanda a una disfunzione del sistema di regolazione emotiva.

 

Van der Kolk descrive come il trauma sia ben osservabile nel corpo, nella postura, nelle espressioni, nei volti, nelle posizioni che assume il corpo nello spazio.

Cosa accade a livello organico nel cervello in seguito ad un trauma?

Van der Kolk dà una chiara spiegazione di ciò che avviene a livello organico nel “cervello emotivo”, cioè il cervello rettiliano ed il sistema limbico e nel “cervello razionale”, che comprende i lobi frontali; questi ultimi, ci spiega Van der Kolk, alla luce delle scoperte nel campo della neurobiologia, sono fondamentali per la comprensione del trauma, in quanto “sede dell’empatia” – la capacità di “sentirci in” qualcun altro; la scoperta sensazionale del gruppo di scienziati italiani fu quella dell’individuazione dei neuroni specchio, che uno scrittore paragonò a un “Wi-Fi neurale” che ci permette di cogliere non soltanto il movimento delle altre persone, ma anche lo stato emotivo e le intenzioni.

Cosa succede dopo un evento traumatico?

L’essere stato vittima di un evento traumatico porta a conseguenze che possono essere riscontrabili non solo a livello emotivo, ma lasciano il segno anche nel corpo di chi è sopravvissuto a uno di questi eventi. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che le persone che hanno vissuto traumi importanti nel corso della vita portano i segni anche a livello cerebrale, mostrando, ad esempio, un volume ridotto sia dell’ippocampo che dell’amigdala. Queste scoperte, avvenute negli ultimi anni grazie all’utilizzo di strumenti di indagine sempre più sofisticati, gettano luce sulla stretta connessione mente-corpo. Ciò che ha un impatto emotivo molto forte si ripercuote anche a livello corporeo, quindi, risulta evidente che intervenire direttamente sull’elaborazione di questi eventi traumatici abbia un effetto anche la neurobiologia del nostro cervello.

 

Subito dopo aver vissuto un evento traumatico il nostro organismo e il nostro cervello vanno incontro ad una serie di reazioni di stress fisiologiche, che nel 70-80% dei casi tendono a risolversi naturalmente senza un intervento specialistico. Questo avviene perché l’innato meccanismo di elaborazione delle informazioni presente nel cervello di ognuno di noi è stato in grado di integrare le informazioni relative a quell’evento all’interno delle reti mnestiche del nostro cervello, rendendolo “digerito”, ricollocato in modo costruttivo e adattivo all’interno della nostra capacità di narrare l’accaduto. Ma cosa succede quando questo non avviene?

Alcune persone continuano a soffrire per un evento traumatico anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Spesso riportano di provare le stesse sensazioni angosciose e di non riuscire per questo motivo a condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. In questi casi, quindi, il passato è presente.

 

Questo quadro sintomatologico, che può arrivare fino a delinearsi in un Disturbo da Stress Post-Traumatico, è caratterizzato appunto dal “rivivere” continuamente l’evento traumatico, continuando a provare tutte le emozioni, sensazioni e pensieri negativi esperiti in quel momento. E’ proprio quando ci si rende conto che le reazioni sono di questo tipo e che la sofferenza è significativa che è necessario chiedere aiuto ad uno specialista.